L’attentato di Sarajevo (28 giugno 1914) mise in moto un meccanismo di scontro che portò in breve allo scoppio della Prima guerra mondiale (luglio-agosto 1914), che in questa fase non vide la partecipazione dell’Italia, che si sganciò dalla Triplice alleanza in quanto l’obbligo di aiuto reciproco in caso di guerra era legato ad un’aggressione subita da uno dei tre membri (la guerra ebbe origine invece dall’attacco austriaco alla Serbia). Inoltre sia a livello governativo che nell’opinione pubblica era ben presente la coscienza che la guerra di Libia aveva esaurito le risorse a disposizione delle forze armate italiane (“la Libia ci ha esauriti”, scriveva Salvemini a Pietro Silva il 28 agosto del 1914). L’opinione pubblica era poi in netta prevalenza neutralista e, tra la minoranza interventista, prevalevano i favorevoli ad uno schieramento dalla parte delle potenze dell’Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia).
Nei mesi successivi lo scontro tra interventisti e neutralisti si radicalizzò, in parte ricalcando i lineamenti della contrapposizione relativa all’impresa libica; stavolta però dalla parte interventista si schierarono alcune forze che erano state contrarie all’impresa africana (in particolare socialisti di destra, come Bissolati e Bonomi, esponenti politici quali Salvemini e i repubblicani).
Fin dall’inizio del conflitto le forze interventiste, minoritarie sia nella società che nel Parlamento, si mobilitarono energicamente, anche grazie all’aiuto di alcuni potenti esponenti politici governativi, e dettero vita ad uno scontro violento, spesso privo di scrupoli e carico di insulti volgari contro le forze neutraliste, essenzialmente raccolte attorno al PSI, a Giovanni Giolitti ed al movimento cattolico. Particolarmente clamorosa fu la improvvisa conversione all’interventismo più radicale di Benito Mussolini (novembre 1914), che pure pochi mesi prima aveva preso parte alla Settimana rossa e che aveva sostenuto fino ad allora un neutralismo intransigente; per questo dovette lasciare la direzione dell’«Avanti!». Alla violenza dello scontro, talora non solo verbale, portarono il loro contributo entrambe le correnti in cui si poteva suddividere l’interventismo, quello di destra, essenzialmente composto dai nazionalisti, e quello di sinistra, cui parteciparono repubblicani, sindacalisti rivoluzionari, socialisti riformisti e democratici indipendenti (tra i quali spiccava la figura di Gaetano Salvemini). Tra i bersagli preferiti degli interventisti vi fu il socialista riformista Claudio Treves, contro il quale si sprecarono insulti volgari di ogni genere, tanto che, dopo insinuazione personali particolarmente pesanti, lo stesso Treves sostenne un duello con Mussolini.
A livello governativo già dal marzo 1914 a Giovanni Giolitti era succeduto alla Presidenza del Consiglio il conservatore Antonio Salandra. Salandra che, conscio della criticità delle condizioni economiche dell’Italia e della sua impreparazione militare, aveva inizialmente visto con ostilità gli interventisti antiaustriaci, presto prese in seria considerazione l’ipotesi di una guerra contro gli ex alleati (già il 4 ottobre era stato consegnato all’ambasciatore a Londra un protocollo d’accordo da proporre alla triplice intesa per un’entrata in guerra dell’Italia). Per rafforzare la propria posizione provocò, tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre, una crisi ministeriale, seguita da una sua riconferma.