Le lettere, le parole che viaggiano per il mondo, sono il filo sottile ma resistente che tiene unite le due parti di una famiglia divisa dall’emigrazione. Esprimono, non sempre esplicitamente, le sofferenze che derivano dallo sradicamento dal proprio mondo, dall’isolamento in cui si è precipitati e dalle discriminazioni alle quali si è sottoposti. Nello stesso tempo fanno balenare agli occhi di chi è rimasto al paese le grandi possibilità offerte dalla terra di arrivo e così invogliano altri a partire. Caratteristica generale delle lettere degli emigrati è la trasposizione dell’espressione orale nello scritto: si scrive come si parla con l’aggiunta di un’ortografia opinabile (specialmente delle parole straniere e di quelle italiane estranee al proprio patrimonio linguistico) e di una punteggiatura improbabile.
Ma le “vere” lettere sono le fotografie che l’emigrante invia e scambia con famiglia, parenti, amici. Negli archivi delle famiglie emigrate una parte preponderante è riservata alle immagini che raccontano le tappe fondamentali di ogni vita: nascita, cerimonie, matrimonio e, in misura minore, morte. Talvolta chi è partito vuole mostrare a chi è lontano quant’è grande, e forte, il legame che li unisce e si fa fotografare con la foto dei propri cari fra le mani. Tra i riti comunitari, cioè quelli che potevano coinvolgere prima tutta la famiglia e poi l’intera comunità, ci sono le feste religiose; specialmente, oltre a Natale e Pasqua, quelle legate alla celebrazione dei santi patroni. Gli emigrati, attraverso la partecipazione ad esse, si raccordavano ai ritmi e alla vita della comunità d’origine, sentivano i santi come dei compagni che li avevano seguiti nell’esilio e la cui “presenza” li confortava e li aiutava.
I riti religiosi hanno sempre fatto parte del bagaglio degli emigrati e hanno contribuito a conservare la loro identità. E quanto sia stata importante la religione nelle varie comunità di origine italiana è dimostrato dallo sviluppo dei luoghi di culto: dalla semplice cappella di legno alla chiesa in pietra ma con pochi ornamenti e infine a quelle di grandi dimensioni, con un campanile svettante, edificate secondo stili architettonici d’ispirazione italiana.
La penna è uno strumento non docile nelle mani di chi non sa usarla e perciò le lettere degli emigrati spesso non dicevano “niente”. Le rimesse, invece, attestavano, senza possibilità di equivoci, che il lavoro e la salute non mancavano e che il progetto migratorio si stava realizzando. Quei sudati risparmi, che sollevarono le sorti di tante famiglie, furono anche una colonna portante dello sviluppo industriale del nostro paese. Il rapporto con l’Italia non si esauriva naturalmente nelle rimesse alle famiglie. Anche in occasione di calamità naturali, come terremoti e alluvioni, le comunità di tutto il mondo inviarono denaro in patria. Un’altrettanto generosa risposta si ebbe nel corso della prima e della seconda guerra mondiale quando dall’estero giunsero non solo denaro ma uomini pronti ad arruolarsi. Anche negli anni trenta, in occasione delle sanzioni all’Italia per la guerra in Etiopia, gli emigrati e i loro discendenti diedero il loro concreto contributo.