Arriva finalmente il gran giorno della visita, 9 maggio 1938. I “due Condottieri” arrivano da Roma con treni speciali poco prima delle due del pomeriggio. Percorrendo l’interno della stazione di Santa Maria Novella festosamente addobbata con teorie di bandiere italiane e germaniche, ornata ovunque con piante di azalee, ortensie e margherite, e abbellita con stupendi e preziosi tappeti persiani, Hitler lascia la firma d’autore su uno di essi, strappandolo inavvertitamente con lo sperone di uno stivale, oggi restaurato e esposto come “il tappeto di Hitler” nel Museo civico Stefano Bardini. Il corteo passa da Piazza San Giovanni, imbattendosi incessantemente in blocchi neri umani, per poi discendere via Tornabuoni, attraversare il ponte Santa Trinita e raggiungere Palazzo Pitti, dove si trova l’appartamento reale destinato all’ospite tedesco. Sono le 14,45. Il programma concede una breve pausa, e il Duce si licenzia recandosi nella sua residenza di Palazzo Riccardi. Il Führer, invece che riposarsi, preferisce in solitaria dare uno sguardo, prima della visita ufficiale, alle opere d’arte raccolte nella galleria Palatina adiacente l’appartamento.
I due primi attori si ritrovano nel pomeriggio. Rendono onore, tra le acclamazioni altissime dei feriti e dei mutilati di guerra, al Famedio dei Caduti di Piazza Santa Croce, per poi inerpicarsi per viale Michelangelo fino a raggiungere l’omonimo piazzale che apre la vista della città. I due si fermano a conversare tra di loro e ammirano l’incomparabile panorama sorridendo. Hitler rimane a lungo tempo vicino alla balaustra a guardare le bellezze artistiche, “gorgogliando in gola suoni indistinti”, per poi affermare: “Finalmente; finalmente capisco Böcklin e Feuerbach!”.
Ridiscesi in città, si trovano immersi in un’atmosfera fiabesca: al giardino di Boboli sono circondati da paggi, cavalieri, giostratori e sbandieratori del gioco del Ponte Pisano, della Giostra del Saracino, del Calcio Fiorentino e del Palio di Siena. Subito dopo ha inizio il pomeriggio culturale, tanto aspettato dal Führer. Entrano nella galleria Palatina di Palazzo Pitti e, percorrendo il corridoio vasariano giungono agli Uffizi. Hitler mormora: “Michelangelo, Michelangelo”. Poi rivolgendosi a Mussolini: “Se fosse venuto il bolscevismo…. “. Il ritornello viene completato da Mussolini, con una certa malgrazia e una spallucciata, ma nel suo schietto tedesco romagnolo: “Alles zerstèert (Tutto distrutto)”. Quindi fanno ingresso in Palazzo Vecchio. È ormai quasi giunta l’ora del tramonto. Preceduti dagli squilli di tromba, si affacciano nella piazza della Signoria chiamati dalle interminabili acclamazioni provenienti da più di centomila persone. Con mirabili mosse teatrali, escono una prima volta, una seconda, una terza e una quarta volta. Ogni apparizione è sottolineata da orla di giubilo.
Dopo una brevissima cena a Palazzo Riccardi, viene il momento della musica. Al teatro comunale assistono al Simon Boccanegra di Verdi. Alle 23,30 la ‘processione’ laica continua la sua marcia, e nei Lungarni avviene l’anomala nevicata sulle “spallette” dell’Arno, con un finale pirotecnico e l’accensione di duemila candele a ripetizione in piazza Santa Maria Novella.